domenica 28 ottobre 2012




Game over?

Dice Luca Telese QUI che ora dovremmo pensare al  futuro. Sì, finalmente.
 Non morirò berlusconiano...

Ma dovremmo pensare al futuro riconsiderando il passato:

 Nostra Santa Madre Chiesa che ci ha messo quindici anni ad accorgersi che era uno sporcaccione in senso lato,
 l’inchino di D’Alema all’isola che non c’è Bicamerale,
 la pervicace lotta di Bevtinotti , riverito in ogni televisione del Cavaliere, contro i governi Prodi, 
gli applausi e gli sghignazzi dell’ intera imprenditoria italiana con la Confindustria in testa,
 il Veltroni che affonda Prodi e perde le elezioni credendo di vincerle, 
le torme di giornalisti al seguito, col sugo sulla bazza e la penna prensile,
 il ” Corierun” di Panebianco e Farina sempre a fianco del Leader Maximo,
 il consigliori Ferrara con il clistere energetizzante in mano,  
le biches sbavanti,
 il popolo plaudente e votante.


Parliamo di futuro?

venerdì 26 ottobre 2012


Chiedo scusa, ma non ho resistito....

( resisto a tutto, tranne le tentazioni.....Oscar Wilde, mi pare ? )







mercoledì 24 ottobre 2012



Scienza infallibile, scienziato in galera.

Grazie ai " divulgatori scientifici " alla Piero Angela & Surrogati si è affermata la convinzione che la scienza è infallibile. Sono gli scienziati che sbagliano e se sbagliano, che paghino, perdio!
Così sono stati condannati a sei anni di galera i componenti della Commissione Grandi Rischi , che non avvisò gli aquilani del terremoto. Naturalmente se avessero fatto scappare tutti dalle case avvertendo di un terremoto che poi non si fosse presentato sarebbero stati incriminati per " procurato allarme" , " interruzione di pubblico servizio ", danni ai commerci ecc.ecc... E sappiamo tutti che non si possono prevedere i terremoti. E allora e comunque:
In galera, in galera!

Ma perché i " divulgatori scientifici " non aprono le mastodontiche trasmissioni televisive o i ponderosi libri con la formuletta:
" Premesso che dell'Universo non sappiamo una beatissima minchia e che tutto quello che vi racconteremo sono delle mediocri semplificazioni di realtà enormemente complesse, con assoluta certezza smentite nei prossimi dieci anni, ciò premesso....." 

Sarebbe più onesto, anche se forse venderebbe meno.Eviterebbero di crescere dei disinformati irragionevoli ( orbati di ragione ) come gli onorevoli Giudici aquilani, e anche di farci fare l'ennesima figura di merda sull'orbe terracqueo.

Anche sulla "matematica" girano strane notizie. Che sia una "scienza esatta", che non sia un'opinione e che due più due faccia quattro. Tutto sbagliato: esistono le matematiche, che non sono né esatte né inesatte,  sono certamente opinioni e invenzioni e due più due può fare quattro, ma anche no. A proposito: due più due cosa?






sabato 20 ottobre 2012

Matteo Renzi, leggere per capire.


Matteo Renzi: leggere per capire.


Le ragioni, le idee e il senso di una sfida italiana
di MATTEO RENZI
da IL del Sole 24 Ore
Niccolò avrà vent'anni tra vent'anni. Niccolò nascerà in una giornata probabilmente fredda di fine novembre. Niccolò era atteso da molto tempo. Sua mamma, Sara, è un'architetta. Non lavora granché, in questo periodo. C'è la crisi dell'edilizia, si sa. E poi comunque lo studio non ha ingranato. Quante discussioni dopo la laurea su come mettere a frutto quel lungo periodo di studio. Ma oggi è in arrivo il piccolo e Sara è concentrata soltanto su quello. Come tutta la sua famiglia, del resto. Ha 33 anni, Sara. E' figlia unica, con le nonne acciaccate, ma ancora lucide e i genitori apprensivi e disponibili. Sono tutti per lei e il parto riempie le loro giornate di sereni e attivi pensionati del settore pubblico. L'Onu dice che tra qualche lustro arriverà il momento in cui ci saranno più nonni che nipoti. In tante parti d'Italia è già così. E questo paradossalmente dà serenità anche ad Andrea, il papà di Niccolò. Che con la sua laurea in Scienze politiche ha fatto un sacco di lavoretti. Niente di eccezionale, s'intende. Un'onesta esistenza da centrocampista di fatica, con i suoi sprazzi e le sue difficoltà. Oggi se la cava in un'azienda che ancora tira perché lavora con l'export. Non c'entra niente con quello che ha studiato, sia chiaro. Ma almeno il lavoro c'è. Anzi, cresce. Perché nonostante la crisi molte aziende funzionano anche se i giornali non ne parlano: continuano a esportare i prodotti italiani, nonostante la politica italiana. Il mondo ha fame di bellezza e di qualità. E gli italiani, che sono solo lo 0, 89%% della popolazione mondiale, hanno questi prodotti in abbondanza, dalla cultura all'agroalimentare, dal manifatturiero al turistico. Non hanno mai saputo raccontare se stessi come una comunità orgogliosa e capace. Ma gli italiani sono qualcosa di più di un indistinto insieme di codici fiscali: sono un popolo che deve soltanto ritrovare la dignità della propria vocazione. Niccolò nascerà mentre l'Italia andrà a votare per le primarie del centrosinistra. Si metteranno in coda ai seggi delle parrocchie e delle case del popolo, delle palestre e dei circoli ricreativi, tre milioni di persone. In attesa dello scrutinio, quella domenica pomeriggio, tanti burocrati del partito si affretteranno a esultare per «la grande partecipazione democratica, risposta alla crisi della politica, affermazione della giusta intuizione di fare le primarie». Li riconoscerete. Sono proprio gli stessi che fino al mese prima hanno brigato in tutti i modi leciti possibile per ridurre la partecipazione, alzare la soglia d'accesso, impedire l'afflusso ai gazebo. Sono quelli che adesso lanciano agenzie in pubblico e lanciano insulti in privato. Perché le primarie sono il loro grande nemico: tolgono il diritto di selezione della classe dirigente agli apparati, restituendo un minimo di ruolo - e dunque di speranza - ai cittadini.
Le primarie di novembre sono state caratterizzate da una simpatica contraddizione, che Sara e Andrea ovviamente ignorano. Come la stragrande maggioranza dei cittadini. Il gruppo dirigente del centrosinistra ha fatto di tutto per aumentare il numero dei candidati e per diminuire il numero degli elettori. Difficile capire la logica. Forse la paura di una sorpresa nelle urne? Forse. Ma questo non è il tempo della paura. E' finito il tempo della paura. Se continuiamo ad abitare le nostre inquietudini, l'Italia diventerà un Paese depresso, non solo a livello economico, quanto nell'anima. Perché -checché ne dicano i tecnici abituati a ragionare con le slide, checché ne pensino i professionisti della burocrazia - un Paese è qualcosa di più del suo Documento di programmazione economica e finanziaria. Ha un'anima, l'Italia. E non vuole perderla. E non può permettersi di perderla, se vuole offrire a Niccolò un futuro. Già, perché quello che sembra mancare oggi a Niccolò è proprio il futuro. Ha tutto, quel piccolo scrigno di stupore che sta venendo al mondo: ha l'affetto dei suoi cari, ha una casa, ha una culla e sono già pronti per lui giochini in abbondanza, non ha difficoltà economiche. Ma la crisi economica che l'Occidente sta attraversando si abbatte su di lui nella forma più subdola: il domani si manifesta a lui come minaccia. Il futuro non è più quello di una volta, ripetono i suoi nonni. Con un atteggiamento culturale rassegnato e cinico, ricordano che beh, sì, quando eravamo giovani noi. E i suoi genitori non reagiscono come potrebbero. E forse dovrebbero. Sono subalterni alla cultura e alla generazione post sessantottina che vuole ritagliata soltanto per sé l'idea di essere stati la meglio gioventù. Se solo volessero Sara e Andrea potrebbero farsi sotto. Potrebbero raccontare come i nati negli anni '70-'80 stiano cambiando il mondo. Di come la rivoluzione tecnologica e informatica stia cambiando per sempre l'economia, la sociologia, la cultura. In una parola la civiltà del mondo -piatto- che viviamo. Ma Sara e Andrea non sentono il morso dell'appartenenza a una generazione. Vivono piuttosto slegati dai propri coetanei. E lasciano che la narrazione della stagione che viviamo sia affidata ai ricordi, più spesso ai rimpianti, della generazione dei padri. Del resto, diciamo la verità: tutti i posti di responsabilità o quasi -in Italia- sono saldamente in mano a quella generazione lì. Difficile immaginare un racconto alternativo convincente quando tutte le volte che c'è un'opportunità, gli under 40 si ritraggono, si tirano indietro, si guardano la punta delle scarpe.
Niccolò ha molti motivi per temere il futuro. Grazie alla disgraziata mancanza di visione dei suoi leader, il suo Paese gli consegna, assieme al certificato di nascita, un debito pubblico procapite di quasi 33 mila euro. Che alla fine fa il 123 per cento del Pil. Detta in un altro modo: gli italiani pagano per gli interessi sul debito quasi 80 miliardi di euro. Ben più di quanto facciano sulle spese per l'educazione o per il welfare (circa 60 miliardi di euro in entrambi i settori). Nasce nel Paese che più di ogni altro ha dato genialità al mondo, il fortunato Niccolò. Ma nasce anche nel Paese che oggi spende più per le colpe dei padri che non per l'educazione dei figli o per l'assistenza dei nonni. Non mi candido perché voglio cambiare palazzo. Io mi candido per parlare a Niccolò. Che ovviamente non mi voterà, come forse non mi voterà la sua famiglia, troppo impegnata all'ospedale nei giorni di festa per seguire l'ennesima discussione interna di quelli là, dei politici. Ma io mi candido per parlare a Niccolò. Per dirgli che vogliamo immaginare per lui un futuro che non sia una continua emergenza, una continua minaccia, una continua paura. Per raccontargli che potrà andare in giro per il pianeta - orgoglioso cittadino del mondo, come tutti i suoi coetanei - portando l'imprinting di un patriottismo dolce, che non derivi solo da Leonardo o Michelangelo, dall'Impero Romano o dal Rinascimento, ma che sia profondamente inserito nella quotidianità. Vinceremo la nostra sfida se Niccolò potrà essere orgoglioso di appartenere all'Italia di oggi e non solo di ricordare il passato o i luoghi comuni della nostra tradizione. E' per questo che parliamo di rottamazione e che vogliamo mandare a casa chi ha governato - e anche chi ha fatto opposizione - in questi anni. Ci hanno trascinato in un tunnel di cinismo e oggi si presentano come quelli che vogliono tirarci fuori di lì. Camaleonti della politica, non si rendono conto che quando i cittadini chiedono facce nuove non li capiscono. Pensano che possa bastare un chirurgo estetico, quando qui serve uno tsunami politico. Certo, la supplenza del professor Monti è stata una bella occasione per rifarsi il trucco. Ha riportato credibilità e autorevolezza, ovvio: ma dopo la performance del Governo precedente, del resto, non era un'impresa impossibile. Ma adesso, in attesa di sistemare Mario Monti in qualche prestigiosa casella istituzionale, sentono che tocca a loro. Io li capisco. Li combatto a viso aperto, provo a sconfiggerli, cerco di pensionarli, sia chiaro. Ma li capisco. Perché loro sentono questo momento come il loro momento. Sono come quel centravanti che dopo una partita giocata tutta in difesa, si trova improvvisamente lanciato a rete, senza difensori davanti. Vede il portiere, sente la porta, annusa il goal. Ma c'è un problema. Il difensore non è andato a prendere il caffè: il difensore è salito al momento giusto. E quel centravanti che da tutta la partita aspettava la palla goal è drammaticamente, terribilmente, definitivamente in fuorigioco. Quando si alza la bandierina il centravanti è talmente concentrato che non si rende conto che stanno parlando di lui: continua a correre verso la porta. Ma è in fuorigioco, non ce n'è.
Questo non è il loro momento. Questo non è più il loro momento. Tocca ad altri, tocca a noi. Adesso! Può darsi che noi stiamo sbagliando e che gli italiani preferiscano il sistema dell'usato sicuro alla nostra proposta -genuina e forse persino ingenua- della rottamazione. Nel caso, accetterò di buon grado la sconfitta. Non chiederò premi di consolazione. Non farò quello che fanno tutti dopo aver perso le primarie: cercarsi un premio di consolazione, farsi comprare con un incarico. Ricordate la foto di gruppo delle primarie di Romano Prodi del 2005? Folla impressionante ai seggi e grande confronto democratico. Vince Prodi e perdono i Bertinotti, che diventa presidente della Camera. Vince Prodi e perdono i Mastella, i Pecoraro Scanio e i Di Pietro, che per premio diventano ministri. Vince Prodi, ma alla fine perde il centrosinistra che non si mette d'accordo su nulla. E infatti dopo tante suggestioni, il Governo dura lo spazio di un mattino, aprendo la strada al ritorno di Silvio Berlusconi. Simpatico, no? Molti di quelli che si sono riempiti la bocca di antiberlusconismo in questi anni sono stati tra i principali sostenitori -più o meno inconsapevoli -del Cavaliere, contribuendo a riportarlo in auge quando sembrava definitivamente sconfitto. Però ancora oggi ci danno lezioni su cosa sia la vera sinistra dal pulpito della loro ideologia, delle loro certezze, delle loro verità. Mentre decido di candidarmi mi ripeto allo specchio: se perdi, niente Parlamento, niente Governo, niente indennità, niente vitalizio. Se perdi rimani dove sei, finché i fiorentini ti vorranno. E se non ti vorranno neanche loro proverai l'ebbrezza di tornare a lavorare nel privato: non è così drammatico, lo fanno ogni giorno altri milioni di italiani come te. Ma se vinciamo, caro Niccolò, proveremo a costruire un'Italia all'altezza dei tuoi sogni. Un'Italia che vada orgogliosa di quella bellezza che forse non salverà il mondo ma certo potrà creare posti di lavoro e occasioni di identità. Un'Italia che respiri ambiente, dicendo basta al consumo selvaggio di suolo e recuperando i milioni di metri cubi abbandonati a partire da quell'autentica vergogna che sono le caserme abbandonate o sottoutilizzate nel centro delle città. Un'Italia in cui il tasso di occupazione femminile sia più vicino alla Scandinavia che al Medio Oriente, in cui il tasso di bambini all'asilo nido raggiunga i cugini francesi, in cui la politica non abbia bisogna di quote rosa perché è già sufficientemente colorata. Un'Italia in cui le aziende spendano in ricerca e in cui la scuola non abbia paura del merito, superando la cultura dell'egualitarismo che tanti danni ha fatto alla cultura dell'eguaglianza. Un'Italia in cui il lavoro non sia tassato tre volte di più della rendita finanziaria, in cui non ci siano dodici riviste specializzate in diritto del lavoro ma poche norme, chiare e traducibili in inglese. Un'Italia fondata sul lavoro e non affondata sulla rendita di chi gode di mille garanzie mentre il precario di vent'anni o il licenziato di cinquant'anni sono costretti ai margini della rappresentanza, fantasmi per i sindacati e per i partiti. Un'Italia in cui chi ha di più possa dare di più, certo. Ma soprattutto un'Italia in cui inizi a dare chi non ha mai dato vivendo da parassita grazie alla complicità vergognosa di un sistema fiscale talmente complicato da far acqua da tutte le parti. Un'Italia in cui il benessere non sia solo il metro di giudizio del proprio patrimonio economico, ma un modo di stare al mondo, di relazionarsi con gli altri, di vivere la qualità della vita indipendentemente dal conto corrente in banca: un modo di stare bene con sé e con gli altri dentro una società sempre più malata di stress e di tensioni. Un'Italia che segni la superiorità morale non della sinistra sulla destra, come vorrebbero certi radicai-chic che hanno distrutto le nostre speranze, ma la superiorità morale dell'altruismo sull'egoismo. Un'Italia in cui la comunità si senta solida perché solidale, investendo su forme innovative di welfare basate sulla sussidiarietà e sulla relazione umana. Ma anche un'Italia che non nasconda la parola merito, insabbiandola nei corporativismi e nelle rendite di posizione di chi pensa che compito dello Stato sia far arrivare tutti allo stesso punto: compito dello Stato è far partire tutti dallo stesso punto, senza dimenticare chi resta indietro ma senza tarpare le ali a chi vorrebbe fare di più. Un'Italia che taglia le Province, ridimensiona le Regioni ma valorizza i Comuni che sono il luogo in cui il cittadino dà del tu alle istituzioni, e non intende smettere di farlo. Ci dicono che questa Italia, la nostra Italia, non sarebbe autorevole in Europa. Non sarebbe credibile. Farebbe ridere la Merkel. Poco importa se quelli che lo dicono sono gli stessi che quando tornavano dai vertici internazionali facevano piangere gli italiani. Ti screditano perché non hai l'età. E quando lo dicono loro pensano a Gigliola Cinguetti mentre noi pensiamo a Tony Blair. E' stata la fortuna del New Labour la polemica dei conservatori: non affidate a un ragazzino il lavoro di un uomo. Si è visto come è andata a finire. Magari succedesse la stessa cosa dalle nostre parti. Ma prendiamo sul serio la critica. Davvero questa Italia non avrebbe cittadinanza in Europa? Davvero questa Italia che finalmente cambia se stessa non sarebbe un punto di riferimento? Difficile affermarlo. Ma la nostra Italia saprebbe innanzitutto rovesciare l'atteggiamento. Smettere di ascoltare ciò che dice l'Europa e iniziare a dire qualcosa all'Europa. Noi siamo italiani, dunque abbiamo il dovere di farci sentire. 
Non siamo un paesucolo alla periferia dell'impero: siamo il cuore del Mediterraneo, i fondatori dell'Europa, contribuenti attivi del bilancio comunitario. E allora vogliamo dirlo sui tetti che abbiamo il desiderio di realizzare gli Stati Uniti d'Europa, con l'elezione diretta dei politici, con le istituzioni più al servizio delle famiglie europee che non delle banche mondiali, con un servizio civile europeo che restituisca un senso d'identità nuova a una generazione cui l'Erasmus non basta più. Ma mentre lo diciamo sappiamo che dobbiamo cambiare innanzitutto nel modo di spendere i denari europei. Perché il grande ideale ha un senso solo se viene concretizzato nella dinamica di tutti i giorni. Altrimenti è pura retorica, astratta dialettica. Ma non è politica. Nella programmazione di sei anni l'Italia ha un budget di poco meno di cento miliardi di euro. Non li spende tutti, purtroppo. E li spende male. Il Governo assicura che i denari siano investiti in quasi cinquecentomila progetti diversi. Una follia. Un infinito elenco di richieste dal territorio senza la capacità di stabilire priorità e progetti precisi. L'esempio più emblematico è la formazione professionale, troppo spesso finalizzata a pagare i formatori più che a formare i bisognosi. Ma pensandoci bene, noi non lo facciamo per te, caro Niccolò. Lo facciamo per noi. Che ci meritiamo qualcosa di più degli scandali quotidiani di questo periodo. Lo facciamo per guardarci allo specchio senza vergognarci. Per non dirci che quando è arrivato il nostro momento non ci abbiamo provato. Per non avere rimpianti. Lo facciamo perché non siamo soli. Per la prima volta nella storia della politica italiana un'esperienza che può scardinare il sistema si muove dentro la politica - e non fuori, in un'aula di tribunale o in un'azienda che si fa partito - ma si muove dal basso. Ci stiamo provando, con un'organizzazione totalmente innovativa. Dovresti vedere le facce dei volontari che stanno costituendo e animando comitati spontanei, che discutono su internet del programma, che parlano continuamente del tuo futuro. Hanno un entusiasmo e una passione che i politici di professione hanno perso da tempo. E la piattaforma internet www.matteorenzi.it non è più il sito di un candidato ma lo spazio di una comunità che avverte il fascino della sfida. Spostatevi, per favore. E lasciate passare l'Italia che è viva. Quella di chi vi contagia con il suo coraggio. Quella di chi non ha paura. Quella di chi ci crede. Quella di chi ci prova anche quando gli suggeriscono che sarebbe più prudente non rischiare. Quella di chi vi chiede di spostarvi, per favore. Perché adesso tocca a noi. In attesa che sia Niccolò e la sua generazione a rottamarci prima possibile ?

giovedì 18 ottobre 2012





18 Ottobre 1937....................................

?

1937?

Ma ora che anno è?

grazie a tutti dei begli auguri...................

domenica 14 ottobre 2012




E ora il PD ha le regole...

Detta così mi fa ridere perché nonna Serafina ( che faceva la levatrice ) per " regole" intendeva le mestruazioni. Quelle che zia Leda chiamava invece " le mestolazioni". Insomma, per zia Leda il PD ha le mestolazioni, per questo è così nervoso....
Ora incollo l'incipit di un articolo sulla Stampa, così si capisce meglio la cosa:


MATTIA FELTRI ( La Stampa )
ROMA
Votare alle Primarie del centrosinistra: ecco un esercizio che è l’anello di congiunzione fra la caccia al tesoro e la burocrazia cinese. ( ....)

Ma le regole ci vogliono! Come ha ripetuto quel galantuomo di Bersani. Vero. Però poteva bastare un corridoio diritto con una scaletta in fondo, tanto per portare il cittadino fino al gazebo, ma con garanzie. Per impedire che qualche furbo, passandoci davanti,  dicesse " sai che fo? Fo uno scherzo al Bersani, che mi sta sul culo...E gli voto Renzi!"

Garantito questo, poteva bastare, no?
Invece no. Prosegue Mattia Feltri:

 Di certo c’è che si voterà al primo turno domenica 25 novembre. Il resto brancola nelle nebbie della perfidia umana. Perché al simpatico punto due del decalogo varato ieri dal Pd, della vendoliana Sel e dal Psi c’è scritto che per partecipare bisogna sottoscrivere una carta d’intenti (anche quella presentata ieri: si chiama “Italia Bene Comune” ed è una dettagliata enciclopedia del filantropismo moderno) con la quale ci si impegna a sostenere il centrosinistra alle Politiche del 2013. Cioè, praticamente, se uno va alla Primarie per appoggiare la leadership di Matteo Renzi, garantisce di votare centrosinistra anche se la spuntasse Nichi Vendola. E viceversa (praticamente l’ambizione novecentesca di trasformare i potenziali elettori in affiliati). 

E qui trovo la manina di Vendola e la sua smania di chiacchierare e chiacchierare di sogni e desideri, anche meglio di Bertinotti. Ma dov'è il buon senso di Bersani?

Feltri ( Mattia ), crudele, va avanti:

Ma non è tutto. Questo punto due è un lascito per i posteri. Infatti disciplina l’afflusso alle urne. E sostiene che i desideranti al voto debbono iscriversi all’Albo delle elettrici e degli elettori e «tale registrazione dovrà avvenire con procedure distinte dalle operazioni e dall’esercizio di voto». Traduzione: boh.
 O meglio, come e dove ci si possa iscrivere all’Albo delle elettrici e degli elettori è ancora da stabilire, ma di sicuro non lo si farà al banchetto delle primarie. Sarà un banchetto a fianco? Un banchetto lontano cinque metri? Sarà a tre isolati di distanza? Dall’altra parte della città? In una zona a caso dell’emisfero boreale? Altro boh. Lo si preciserà più avanti. In ogni caso, recuperata l’imprescindibile iscrizione, si otterrà diritto di voto che prevede il versamento di almeno due euro: e questo è giusto, visto che le primarie costano anche se qualcuno ha protestato ricordando, per esempio, gli emolumenti girati al gruppo del Pd in Regione Lazio: circa due milioni di euro l’anno. 

Via, ammettiamolo, qui c'è la manona democristiana di Marini e la mano accorta della Bindi: e che c'iho scritto Gio Condor? Ma dove è il buonsenso emiliano di Bersani?


Tuttavia non è per niente escluso che nessuno dei candidati raggiunga il cinquanta per cento più uno dei favori. Nel caso si andrà al ballottaggio, già fissato per la domenica successiva, quella del 2 ottobre. E qui c’era un punto di discussione fra l’aristocrazia del partito e i renziani. Questi ultimi erano dell’opinione di aprire il ballottaggio anche a chi non aveva votato al primo turno. Il partitone tendeva invece più all’ipotesi opposta: chi c’era, ci sarà; chi non c’era pazienza.
 Questo per evitare che sabotatori del centrodestra assaltino i banchetti ed inquinino il voto. Bene, come è stata risolta la questione? Non è stata risolta. Anche qui ogni interpretazione è buona perché il decalogo dice semplicemente che chi ha (faticosamente) ottenuto l’autorizzazione a votare al primo turno ce l’ha automaticamente al ballottaggio. Per il resto buio fitto.

Per essere buio, è buio. Ma, dice Mattia Feltri ( ci metto sempre il nome perché non si confonda con l'altro ( pdm ) Feltri...) ecco una luce!  

 Insomma, il tentativo di tenere la gente lontano dalle Primarie è articolato. Se il tentativo riuscirà, è meno chiaro. 





sabato 13 ottobre 2012


( Gallucci Editore )

Torno alle cose davvero importanti....

per esempio la poesia.


 Lungo la linea di minor resistenza siamo in marcia da gran tempo,
 stanchi ormai, ingobbiti e tuttavia grati, nell' insieme. 
 Di noi nessuno, credo, più ricorda quando cominciò né di dove, esattamente;
 un piccolo scarto forse, una prima deviazione a evitare vampe lontane, un tronco di abete
 o faggio a riparo, un muricciolo di pietre, la breve spada per tre quarti nel fodero,
 l' occhio attento, l' orecchio ben spalancato al fragore della battaglia laggiù.

 Non sempre
 era facile seguirla, la linea. 
 Spariva oltre un torrente ringhioso, si perdeva nell' incavo di fossi
 cari al crescione e a limacciose lumache senza guscio. 
 O perché cadeva brusca la notte. 
 Che fare adesso? Stavamo lì attorno a magri fuochi di sterpi, malamente accampati,
 inquieti, la paura come rugiada sui nostri mantelli.
 L' alba svelava molteplici insidie ovvie a chiunque.
 Quel bosco troppo fitto troppo buio, quella gola tortuosa fra pareti di roccia,
 quel ponticello nudo e sottile sui risucchi del fiume, la palizzata sbilenca dall' aria indifesa,
 un convergere di uccelli neri sulla radura a oriente, l' ululìo di grossi cani tra ruderi anneriti... Avevamo imparato, ci tenevamo a distanza avanzando a ginocchi piegati, schiena curva, in     silenzio. Ma la linea di minor resistenza ci sarebbe servita soprattutto nello smeraldo di un           prato  prima di metter piede su dolcissime chiazze di mughetti, di primule. 

 Finalmente!
 Lo slancio era invincibile, ci lasciavamo cadere su quel manto a braccia aperte, 
 lo sguardo ozioso, socchiuso, scivoloso su vaghe ramaglie musicali in un accenno di vento. 
 Api, anche. 
 E una libellula incerta nel battito d' ali trasparenti. 
 Non sembra vero, diceva qualcuno. E infatti non lo era.
 In mezzo a noi languidi - appena un fruscio, un taglio nel bisso - precipitava il primo             giavellotto.
 Il nemico era lì tutto attorno. Bisognava fuggire, 
 ritirarsi, più di una volta combattere sopprimendo il tremito,
 richiamando l' impigrito furore a denti stretti, l' urlo pronto a scoppiare,
 il braccio mulinante a caso nella mischia. 

 Belve, tutti. 
 Nel corpo a corpo le corazze cozzavano elmi e teste volavano,
 o mani tranciate, rosse budella, uno scroto divelto.
 Vincevamo. Perdevamo.
 Lasciavamo nell' orbita di quel falso idillio morti e feriti, pezzi di noi, 
rantoli d' agonia, inutili invocazioni.
 E riprendevamo, chi ancora poteva,
 a marciare lungo la linea di minor resistenza, ritrovata fra le stoppie
 dietro una siepe irta di spine o nettissima a tagliare negletti campi interminabili.
 Fatica, passo dopo passo.
 Tedio, gesto dopo uguale gesto. Il farro da triturare, l' acqua da cercare,
 cunei e chiodi da piantare, bacche racimolate, rari frutti,
 il coniglio selvatico, l' anatra di passo, il cinghiale a volte, da fare a pezzi sulla fiamma. 
Così tiravamo avanti, il giorno e la notte, la notte e l' inevitabile giorno. 

  C' era chi crollava in fondo alla fila dopo settimane di sabbia, 
  mesi di funesta palude, restava ai margini, insepolto.
 In altri prevaleva l' impazienza, tentati da un lume, caldo all' orizzonte, una finestra               presunta, un villaggio aperto al saccheggio.
 Disertavano, non ritornavano.
 O chi ancora cedeva a un invito di smalto azzurro tra due soavi colline


 gettava lo scudo incurante dei nostri richiami, perduto.
 E noi sempre ancora a marciare, ancora talvolta a dover combattere,
 polverosi, ossuti, la daga incrostata, le frecce scarse nella faretra. 
 Ma vivi, grazie alla linea di minor resistenza.

 Ora ne vediamo all' incirca la fine, oltre quegli ultimi cardi e più in là lo stagno immobile. 
 E ci contiamo, noi superstiti attorno a braci decrescenti.
 Ci rallegriamo, la voce arrochita, prendendo spesso fiato.
 Qualcuno tenta le prime note di un canto, presto scoraggiato.
 Una lunga fuga, dice un altro, tra nebbie e sbiechi di gelide piogge e la mazza del sole, 
 soltanto una fuga è stata tutta la nostra marcia per lancinanti strappi, disonorevoli omissioni. 

 Ma non è stato proprio così, sempre così.
 C' erano tratti, anche lunghi, di pur guardinga spensieratezza, di euforico abbandono, 
  l' ombra del pericolo rimasta indietro,
 quando ci pareva di correre più in fretta del sole, della vita.
 Un altro ride senza molta allegria, sputa sui carboni un suo dubbio di buffone:
 la linea  di minor resistenza non è mai esistita, 
 ce la siamo inventata per dare un senso al nostro andare,
 una direzione, un' idea di minimo controllo su quanto facevamo, su quel vano soffrire, 
 quel cadere e poi ripartire a disperdere il vuoto, in qualche modo.
 Mai esistita, ripete il guitto. 
 Sarà.
 Noi lo lasciamo dire perché alla fine
 non ha più molta importanza capire 
 come ci siamo veramente arrivati, allo stagno color piombo
 là dietro.

Ho finito per comprarmi il libro, che costa pochissimo ma è splendido, nell'edizione, nei disegni e nelle parole, che sono quelle che leggete sopra.

"Riproduzione vietata" ma Autore e Editore vorranno considerare questa riproduzione un puro  omaggio, una condivisione.







domenica 7 ottobre 2012

( secondo vis a vis...)


Contra Eugenio ( Scalfari ).

Non è che ce l'abbia con lui. Però su La Repubblica di oggi 7 Ottobre Scalfari insiste in una formuletta che qualche giorno fa adoperava in polemica con Renzi:

" destra" è libertà senza uguaglianza, " sinistra" è uguaglianza nella libertà.

Che suona bene, ma non significa nulla. Perché non esiste la libertà ma le libertà. Abissale differenza! ( vedi QUI )
In quanto all'uguaglianza, non esistono nell'Universo tutto due cose " uguali". Perfino il me di ora è diverso da quello di dieci anni fa.

Propongo di sostituire la formuletta con questa:

" destra" è  chi disconosce che tutti gli uomini hanno lo stesso valore, "sinistra" è chi riconoscere lo stesso valore a tutti gli uomini.

Sottolineo che la prima affermazione è conforme alla Natura, la seconda del tutto innaturale.
In Natura un leone paraplegico viene mangiato dagli altri leoni, una scimmia zoppa abbandonata dal branco e una pianta indebolita sopraffatta dalle altre. Vince il più forte! Legge della Natura. 
 Ma anche del Mercato, dell'Imprenditoria, dell'Economia, della meritocrazia, del liberismo.
Si soccorrino i leoni paraplegici, le scimmie zoppe, le piante deboli, i commercianti incapaci, gli imprenditori sciocchi, gli studenti zucconi. Ma non si dica che sono di un qualche uguale valore coi vincenti. Ma via!

Secondo la mia formuletta che non mi sono inventata ma ho trovato pari pari nel Vangelo ho la sensazione che Scalfari sia di destra. 
Speriamo di no.



sabato 6 ottobre 2012





Coraggio miei prodi!
Il PD alle prese con la sua coda.

Assisto sbalordito alla vicenda del Partito Democratico. Ne escono sempre delle nuove. L'ultima è che Matteo Renzi, a termini di Statuto, non poteva presentarsi alle primarie. Ma perché non glielo avete detto subito! Non puoi,  punto e basta.

Si sarebbe evitato che il giovanotto si lanciasse nell'avventura, Firenze avrebbe avuto il suo Sindaco a tempo pieno, Bersani sarebbe stato eletto come al solito con percentuali prossime al 90%, Vendola avrebbe preso il 10% tutto contento di rendere testimonianza per quelli che credono ancora che essere di sinistra significhi testimoniare. Si sarebbero evitate risse a ogni livello, compreso il mio, essendo stato trattato da qualunquista da una adorabile bersaniana perché ho parlato male di D'Alema.

Invece, a Renzi che proclama dopo rullo di tamburi e adunanze che parteciperà alle primarie,  nessuno obietta nulla.Tutti zitti.
Non ho capito il perché. Forse ha giocato anche una sottovalutazione di Renzi, proprio come successe a Firenze, dove gli fu sparato contro perfino l'onusto di anni e carriera Michele Ventura, puro politburò 1975, che perse.

Ora sono riuniti in 980 per compiacere Renzi e cambiargli apposta lo Statuto. Però coi capelli ritti che il giovanotto non diventi, orribile dictu, il candidato del PD alle elezioni politiche prossime venture, che il PD, chissà perché, è convinto di vincere.
La paura fa novanta e anche la fantasia. Si sono inventati una pre-iscrizione per una post-votazione , con sottoscrizione al gazebo di presa visione degli ideali piddini, versamento di un obolo che pare sia addirittura 5 euro ( quando la tessera ne costa 15 ) , lista dei votanti anche pubblicabile. Impronte digitali? Esame del DNA?

La motivazione per tanto filtro è che, udite, udite! Berlusconi e Angelino non mandino truppe cammellate a votare tutti per Renzi....col che sarebbero sicuri di perdere le elezioni!
Perché Renzi, votato da tutti i simpatizzanti PD più i simpatizzanti Renzi, farebbe vincere le elezioni al PD.
Mai sia, mai sia! Il giovanotto non è, come parrebbe, il miglior politico cresciuto nelle file democratiche negli ultimi dieci anni, ma il cavallo di troia, la galleria minatoria, il Giano Bifronte, il piccolo Berluschino indiavolato per distruggere la sinistra italiana.
E infatti è Matteo il Rottamatore! 

Come finirà? Non lo so. Certo il cane un po' di pena la fa. E' che ci sono affezionato....

P.S.  Bravo Bersani! Bravo Renzi! Dall'assembleona ( 612...) è uscito un onorevole e pressoché unitario accordo. Le primarie si faranno, e bene. E si vincerà anche le elezioni. Per fortuna dell'Italia, vostra, nostra e mia. Che paura, però!